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People Analytics: leggere i dati per governare il cambiamento nelle risorse umane

  • Writer: Lorenzo Berselli
    Lorenzo Berselli
  • 3 hours ago
  • 3 min read

Negli ambienti di lavoro caratterizzati da trasformazioni rapide e spesso silenziose, cresce la necessità di comprendere meglio ciò che accade dentro le organizzazioni.


Turnover, assenteismo, benessere percepito, equilibrio tra tempi di vita e tempi di lavoro non sono solo “fenomeni”, ma realtà quotidiane che richiedono lettura, attenzione, metodo.


Il People Analytics, in questo senso, offre uno strumento utile: permette di leggere i dati relativi al personale non solo in chiave amministrativa, ma per trarne indicazioni concrete, osservare tendenze, correggere rotte.


Il concetto di People Analytics nasce all'incrocio tra statistica, tecnologia e gestione delle risorse umane, con le sue radici più concrete negli Stati Uniti, tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, nell’ambito delle tecniche di business intelligence applicate al personale.


Ma per essere utile davvero, questo approccio richiede consapevolezza, cultura organizzativa e – soprattutto – una profonda attenzione alla cornice normativa entro cui si muove.


Oltre il dato: una questione di responsabilità

L’idea alla base del People Analytics è semplice: utilizzare i dati che l’organizzazione già possiede per prendere decisioni più informate. Presenze, ferie, malattie, formazione, flessibilità fruita, livelli di produttività: tutto può essere letto in modo sistemico, se ricondotto a domande chiare.

Ma ogni dato raccolto, ogni incrocio, ogni rappresentazione numerica comporta anche una responsabilità. Una responsabilità giuridica – legata alle norme su privacy, controllo a distanza, parità di trattamento – ma anche una responsabilità etica, organizzativa, culturale.

Un report che segnala un reparto con un tasso di assenza anomalo può generare attenzione utile oppure sospetto dannoso. Un’analisi delle ore lavorate può favorire una revisione dei turni, oppure alimentare dinamiche punitive. Dipende da come viene costruita la domanda. E da chi legge la risposta.


Governare significa decidere cosa osservare, come leggerlo, cosa fare

Il valore dell’analisi non sta nella quantità di dati, ma nella capacità di scegliere quelli rilevanti, definirne il perimetro di utilizzo e tradurli in scelte. È qui che il People Analytics diventa uno strumento utile solo se integrato con una cultura organizzativa matura.


Tre passaggi, in particolare, sono decisivi:


  1. Definire obiettivi chiari, legati a fenomeni osservabili e significativi: ridurre il turnover, migliorare il benessere nei turni, prevenire rischi da stress-lavoro correlato.

  2. Costruire indicatori misurabili, accessibili, spiegabili. Che siano letti non per giudicare, ma per capire.

  3. Restituire il dato con trasparenza, come strumento di dialogo e di governo, non come leva di pressione.


Questo percorso, per funzionare, non può prescindere da una piena aderenza alle norme. Non si tratta di “mettersi al riparo”, ma di agire in modo corretto, credibile e duraturo.


La conformità normativa come condizione, non limite

Ogni utilizzo di dati relativi ai lavoratori, per quanto legittimo nell’intento, richiede una valutazione attenta sotto il profilo della compliance. Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), lo Statuto dei Lavoratori, le direttive europee sulla trasparenza retributiva e sul trattamento equo, la normativa antidiscriminatoria: sono riferimenti che non possono essere trattati come formalità, ma come fondamento dell’azione.

Raccogliere informazioni sui comportamenti lavorativi, anche in forma aggregata, implica la definizione di criteri chiari di finalità, proporzionalità, conservazione, accesso. Significa evitare sovrapposizioni tra controllo e monitoraggio, tra gestione e sorveglianza.

Preservare il rapporto di fiducia che è alla base di ogni relazione di lavoro sana.

È un equilibrio delicato: richiede conoscenza delle regole, ma anche sensibilità nell’interpretarle, nel contestualizzarle, nel restituirle all’organizzazione in forma comprensibile e utile.


Strategie sostenibili: quando l’analisi diventa cambiamento

Integrare un approccio data-driven alla gestione delle risorse umane non significa adottare un software, ma costruire una pratica. E come tutte le pratiche, richiede tempo, metodo e visione.


Alcuni esempi concreti di intervento:


  • Valutare l’impatto della flessibilità oraria non solo sui costi, ma anche sulla soddisfazione e sulla produttività.

  • Rilevare squilibri nell’accesso alla formazione, non per distribuirla in modo meccanico, ma per garantire equità nelle opportunità.

  • Monitorare i carichi di lavoro reali, incrociando presenze, straordinari, malattie e feedback, per prevenire fenomeni di burnout.

  • Analizzare gli effetti delle politiche di welfare, per capire se rispondono davvero ai bisogni espressi.


Tutto questo ha senso solo se l’organizzazione è disposta a guardare se stessa con onestà. E se il dato diventa uno specchio, non un giudice.


Il People Analytics può essere uno strumento di controllo o un’occasione di comprensione. Dipende da come viene costruito, da chi lo guida, da quale cultura lo circonda.

Rispettare le norme non è un vincolo tecnico: è ciò che garantisce che l’uso del dato sia legittimo, proporzionato, umano. E se il rispetto delle regole si accompagna alla volontà autentica di capire e migliorare, allora l’analisi non diventa una pratica sterile, ma un esercizio di cura.


In definitiva, non si tratta di contare le persone, ma di comprenderle. E questo è forse il gesto più complesso – e più necessario – in ogni organizzazione che voglia crescere con equilibrio.




 
 
 

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