Clausole vessatorie e contratti di lavoro subordinato
- Lorenzo Berselli
- Jun 25
- 4 min read
Il contratto di lavoro subordinato si inserisce in un contesto normativo fortemente improntato al principio della tutela del lavoratore quale parte contrattuale debole.
Tale principio, di derivazione costituzionale (art. 36 Cost.), trova attuazione in numerose disposizioni del Codice Civile, della legislazione speciale in materia di lavoro e della giurisprudenza di legittimità.
Uno dei temi centrali nell'ambito della contrattazione individuale riguarda l’inserimento di clausole vessatorie, ossia clausole predisposte unilateralmente dal datore di lavoro che determinano uno squilibrio contrattuale a favore di quest’ultimo. Il presente contributo intende analizzare l’efficacia di tali clausole nel contratto di lavoro subordinato, soffermandosi sugli aspetti normativi, sulla giurisprudenza consolidata e sulle implicazioni pratiche.
2. Fondamento normativo: art. 1341 c.c. e sua applicazione al lavoro subordinato
L’articolo 1341 del Codice Civile disciplina i contratti conclusi mediante adesione a condizioni generali predisposte da una parte, stabilendo che le clausole particolarmente onerose per l’altra parte — tra cui si annoverano, ad esempio, le limitazioni di responsabilità, le decadenze e le facoltà di recesso unilaterale — sono efficaci solo se specificamente approvate per iscritto.
Nell’ambito del contratto di lavoro subordinato, la giurisprudenza ha chiarito che tale tipologia contrattuale può essere ricondotta al paradigma del contratto per adesione, atteso che nella prassi è usualmente predisposto integralmente dal datore di lavoro (Cass. civ., sez. lav., 12 luglio 2019, n. 18791). Ne deriva che le clausole che rientrano nel novero delle “vessatorie” ex art. 1341 c.c. necessitano di una firma separata del lavoratore per poter essere considerate valide.
Tuttavia, la firma autonoma non è condizione sufficiente, qualora la clausola incida su diritti tutelati da norme imperative, in quanto in tal caso la clausola è da considerarsi radicalmente nulla, ai sensi dell’art. 1418 c.c. Tale nullità opera indipendentemente dalla volontà delle parti ed è rilevabile d’ufficio dal giudice (Cass. civ., sez. lav., 19 aprile 2022, n. 13020).
È opportuno ricordare, inoltre, che la Cassazione ha precisato che l’art. 1341 c.c. si applica solo qualora le condizioni contrattuali siano state imposte unilateralmente, non anche nei casi in cui vi sia stata effettiva trattativa individuale tra le parti (Cass. civ., n. 15455/2006).
3. Limiti sostanziali: il principio di inderogabilità in pejus
Il contratto di lavoro è fortemente vincolato al principio di inderogabilità in senso peggiorativo dei diritti riconosciuti al lavoratore dalla legge o dal contratto collettivo. L’art. 36 Cost. e l’art. 2113 c.c. vietano la rinuncia e la transazione di diritti derivanti da norme inderogabili se non in sede protetta (es. conciliazione presso ITL).
Pertanto, anche in presenza di firma separata, sono da considerarsi nulle le clausole che:
limitano il diritto al riposo, alla retribuzione o alle ferie;
prevedono trasferimenti arbitrari in violazione dell’art. 2103 c.c.;
escludono o limitano il diritto al risarcimento in caso di licenziamento illegittimo;
modificano in senso peggiorativo la disciplina delle decadenze o dei termini di impugnazione previsti dalla legge.
Cass. civ., sez. lav., 21 agosto 2017, n. 20733 ha ribadito che anche le clausole contenute in contratti collettivi, se peggiorative, non possono prevalere sui diritti individuali se non accettate dal lavoratore con piena consapevolezza e libera determinazione, in sede assistita. Il principio di inderogabilità in pejus rappresenta una pietra angolare del diritto del lavoro italiano e si fonda anche sull’art. 1, comma 1, dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970), il quale conferisce tutela alla dignità e alla libertà del lavoratore in ambito contrattuale.
4. Giurisprudenza di legittimità: nullità e inefficacia
La giurisprudenza ha affermato in più occasioni che le clausole vessatorie, anche se firmate separatamente, non possono derogare diritti garantiti da norme imperative. In particolare:
Cass. civ., sez. lav., n. 18791/2019 ha sancito che la clausola contenente una deroga alla sede di lavoro è inefficace se non specificamente approvata, ma è comunque nulla se consente un trasferimento arbitrario e lesivo della professionalità acquisita.
Trib. Milano, ord. 28 febbraio 2022 ha annullato una clausola che subordina il riconoscimento di premi produttività a parametri unilateralmente determinati, in violazione del principio di buona fede e correttezza (art. 1175 c.c.).
Cass. civ., sez. lav., 3 febbraio 2021, n. 2431 ha precisato che la sottoscrizione del contratto non equivale a piena conoscenza ed accettazione delle clausole vessatorie se queste non sono state oggetto di effettiva trattativa.
Cass. civ., sez. lav., 19 aprile 2022, n. 13020 ha riaffermato che il giudice può rilevare la nullità d’ufficio delle clausole lesive di diritti inderogabili del lavoratore, a tutela dell’ordine pubblico economico.
5. Esempio applicativo
Clausola tipo: “Il datore di lavoro si riserva la facoltà di trasferire il dipendente in qualsiasi sede nazionale dell’azienda, con preavviso di 24 ore.”
In questo caso, se la clausola non è stata firmata separatamente, è inefficace per difetto di forma. Anche se firmata, potrebbe essere nulla perché:
contrasta con l’art. 2103 c.c., che richiede che il trasferimento sia motivato da comprovate esigenze organizzative;
non tutela la posizione professionale e personale del lavoratore;
non prevede alcun margine di concertazione o preavviso congruo;
risulta sproporzionata rispetto ai principi di buona fede (art. 1175 c.c.) e di correttezza (art. 1375 c.c.).
Pertanto, il lavoratore potrà impugnare il trasferimento come illegittimo, e il giudice potrà dichiarare nulla la clausola anche d’ufficio, in applicazione del principio di protezione.
Orientamenti applicativi
L’inserimento di clausole vessatorie nei contratti di lavoro subordinato deve confrontarsi con una duplice barriera:
Formale: necessità di specifica approvazione scritta ai sensi dell’art. 1341, co. 2, c.c.
Sostanziale: rispetto dei limiti imposti dalle norme inderogabili e dai principi di equità, buona fede e correttezza.
L’efficacia delle clausole vessatorie è quindi fortemente circoscritta. La loro presenza in contratto non è di per sé garanzia di validità: occorre che esse non violino diritti fondamentali del lavoratore, né si pongano in contrasto con la funzione sociale e costituzionalmente orientata del diritto del lavoro.

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