Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: procedura e impatto nel cambio d’appalto
- Lorenzo Berselli
- Sep 8
- 6 min read
Il giustificato motivo oggettivo è il recesso determinato da ragioni economiche o organizzative non imputabili al lavoratore. È legittimo quando la posizione è davvero soppressa, esiste un nesso causale tra riorganizzazione e licenziamento, la scelta è coerente e non strumentale e il datore ha rispettato il dovere di repêchage, cioè la ricerca effettiva di impieghi alternativi. La motivazione scritta deve essere chiara e attuale; la procedura varia in base al regime legale applicabile e ai contratti collettivi. Nel cambio d’appalto, le clausole sociali e l’eventuale trasferimento di ramo d’azienda incidono direttamente sulla tenuta del recesso. Al lavoratore spettano preavviso o indennità sostitutiva, tutte le competenze maturate e, se ricorrono i presupposti, la NASpI.
Cos’è il giustificato motivo oggettivo e perché la “crisi” da sola non basta
Nel nostro ordinamento il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non è un’etichetta generica per coprire scelte discrezionali, ma una fattispecie tipizzata che richiede fatti concreti. Le ragioni possono essere un riassetto organizzativo, l’introduzione di tecnologie che eliminano certe mansioni, l’esternalizzazione di funzioni o una contrazione strutturale dell’attività che rende insostenibile quella specifica posizione. Il punto decisivo è la concretezza. Non bastano formule apodittiche né un generico “calo di lavoro”.
Serve mostrare cosa cambia nell’assetto produttivo e perché la posizione del lavoratore non è più necessaria. Dal lato datoriale, questo significa pianificare e documentare la riorganizzazione; dal lato del lavoratore, leggere la lettera valutando se le ragioni indicate siano specifiche, attuali e verificabili.
Nesso causale e soppressione reale: il banco di prova della legittimità
La legalità del licenziamento si gioca nel rapporto tra il fatto organizzativo e la posizione individuale. La soppressione deve essere effettiva: se il posto riappare, anche con un titolo diverso ma con mansioni sostanzialmente identiche, la giustificazione vacilla. Incide anche la temporalità: assunzioni a breve distanza su profili analoghi, o il ri-affidamento all’esterno della medesima attività senza un disegno riorganizzativo coerente, indeboliscono la tesi aziendale. Dalla prospettiva del datore, la forza del recesso nasce dalla coerenza complessiva del piano; dalla prospettiva del lavoratore, diventa centrale verificare continuità delle attività e sovrapposizioni tra vecchi e nuovi ruoli.
La libertà d’iniziativa non è arbitrio: discrezionalità economica e controllo di coerenza
Il datore di lavoro conserva una discrezionalità imprenditoriale nelle scelte economiche e organizzative. Tuttavia, la discrezionalità non è sinonimo di insindacabilità assoluta: l’ordinamento consente al giudice un controllo sulla serietà del motivo, sulla non pretestuosità del riassetto e sulla correttezza procedurale. Per restare in equilibrio, l’impresa deve ancorare il recesso a elementi oggettivi (numeri, flussi, ridisegno dei processi), mentre il lavoratore, per contestarlo, dovrà evidenziare incongruenze e fatti incompatibili con la versione aziendale. Questo doppio binario garantisce che il potere di recesso non si trasformi in abuso, senza però congelare la flessibilità necessaria all’impresa per adattarsi al mercato.
Il cuore operativo: il dovere di repêchage spiegato a entrambe le parti
Prima del recesso, il datore deve verificare se il lavoratore possa essere ricollocato in azienda. Il repêchage non è una formalità: richiede una ricerca concreta di mansioni equivalenti e, quando compatibile con la professionalità dell’interessato, anche di mansioni inferiori con il relativo adeguamento economico e normativo. Per l’impresa, questo implica esaminare organigrammi, fabbisogni reali, trasferimenti interni e recenti assunzioni; per il lavoratore, significa chiedere conto del percorso di verifica e segnalare eventuali posizioni disponibili compatibili con le proprie competenze. Il principio di fondo è semplice e condivisibile da entrambi: se c’è un impiego ragionevole per evitare il licenziamento, occorre tentarlo; se non c’è, il recesso resta l’ultima ratio, ma si regge con maggiore solidità probatoria.
Forma e motivazione: perché una lettera chiara tutela entrambi
Il licenziamento per GMO deve essere comunicato per iscritto con motivazione specifica. Una lettera precisa aiuta l’azienda a difendere la scelta e aiuta il lavoratore a comprendere e, se del caso, a contestare nel merito. È buona pratica indicare quale assetto cambia, quali funzioni vengono meno, come è stato eseguito il repêchage e quando si è deciso l’intervento. A seconda della data di assunzione, della dimensione aziendale e del settore, possono operare passaggi conciliativi o comunicazioni preliminari. L’adempimento non è ornamentale: una motivazione generica o contraddittoria produce rischi concreti in giudizio. Per l’impresa, la chiarezza è uno scudo; per il dipendente, una base per valutare alternative, tutele e tempi.
Aspetti economici e previdenziali: preavviso, competenze finali, NASpI
Quando il licenziamento è legittimo, il rapporto si chiude rispettando il preavviso previsto dal CCNL o, in alternativa, con indennità sostitutiva. Restano dovute tutte le competenze maturate: TFR, ratei di tredicesima e quattordicesima se prevista, ferie e permessi residui, premi e indennità contrattuali. Il lavoratore, cessato il rapporto, può accedere alla NASpI se in possesso dei requisiti e presentando domanda nei termini; il datore dovrebbe fornire in modo tempestivo la documentazione utile, evitando ritardi che possono incidere sull’indennizzo. Una gestione ordinata del “conto di chiusura” evita contenziosi satellite e rende più lineare, per entrambe le parti, la transizione.
Cambio d’appalto: clausole sociali, trasferimento di ramo e impatto sul licenziamento
Il cambio d’appalto è il contesto in cui il licenziamento economico incontra regole settoriali e una sensibilità sociale elevata. Gli scenari sono due. Se il passaggio comporta un trasferimento di azienda o di ramo dotato di autonomia funzionale, la prosecuzione dei rapporti presso il subentrante avviene senza soluzione di continuità: l’obiettivo è conservare l’occupazione e l’anzianità, con gli adattamenti consentiti dal nuovo assetto. In questo quadro, il licenziamento per GMO da parte dell’uscente non è lo strumento naturale, perché la legge privilegia la continuità.
Se invece non c’è trasferimento ma il nuovo appaltatore subentra con organizzazione propria, la tutela dell’occupazione dipende dalle clausole sociali del bando o del CCNL applicato. Queste clausole, sempre più diffuse nei settori labour intensive, prevedono l’assorbimento del personale in misura e con modalità disciplinate dalle fonti collettive. Per il datore uscente, la clausola è un fattore decisivo: se l’assorbimento è concreto, il ricorso al licenziamento rischia di essere anticipato o ingiustificato; se l’assorbimento non copre tutte le posizioni, il recesso può restare necessario, ma portando prova della soppressione e dell’impossibilità di ricollocare altrove. Per il subentrante, l’obbligo di assorbimento non impedisce riassetti e armonizzazioni, purché siano coerenti con CCNL e clausola, evitando scelte arbitrarie o discriminatorie. Per i lavoratori coinvolti, conoscere esattamente cosa prevede la clausola e come verrà applicata consente di valutare subito la continuità o l’eventuale contesa.
Quando il licenziamento non regge
Se il licenziamento per GMO non dimostra il fatto organizzativo, non prova un repêchage serio o viola la procedura, scattano le tutele previste dal regime applicabile. A seconda della data di assunzione e della dimensione, gli esiti vanno dalla reintegrazione nei casi più gravi (nullità o insussistenza manifesta del fatto) a un’indennità risarcitoria parametrata all’anzianità. Per il datore, i costi della mancata coerenza possono superare quelli di una riorganizzazione più attenta; per il lavoratore, è rilevante concentrare la contestazione su punti qualificanti (nesso causale, repêchage, tempistica, coerenza con il cambio d’appalto), evitando letture puramente formali che non superano la prova dei fatti. La conciliazione resta spesso una strada razionale: consente di gestire l’incertezza del giudizio, calibrare tempi e rischi e trovare soluzioni sostenibili.
Buone pratiche per un esito solido e rispettoso degli interessi in gioco
Un licenziamento economico ben impostato non si costruisce nell’ultimo giorno. Per l’impresa significa mappare le attività, individuare duplicazioni e colli di bottiglia, motivare per iscritto il passaggio da “funzione necessaria” a “funzione soppressa”, registrare le verifiche di ricollocazione e allineare fin da subito HR, finanza e legale. Nelle situazioni di cambio d’appalto, occorre coordinarsi con stazione appaltante e subentrante o uscente per applicare correttamente le clausole sociali, evitando reazioni affrettate. Per il lavoratore, la strada maestra è ricostruire i fatti in ordine cronologico, recuperare organigrammi, mansionari e comunicazioni, annotare eventuali annunci di assunzione su ruoli analoghi, e domandare formalmente spiegazioni su repêchage e criteri applicati. Questo approccio, sobrio e documentale, riduce i fraintendimenti e rende più prevedibile l’esito, qualunque esso sia.
Errori ricorrenti da evitare
Il primo errore è la motivazione stereotipata: indebolisce la posizione datoriale e costringe il lavoratore a contestare per “ipotesi”, con aumento della conflittualità. Il secondo è l’idea che il repêchage sia un modulo da spuntare: al contrario, è il cuore della prova. Il terzo riguarda il tempismo: soppressioni “di principio” seguite da riattivazioni rapide della stessa attività generano contenziosi difficili da difendere. Nel cambio d’appalto, l’errore tipico è ignorare la clausola sociale o trattarla come un auspicio, salvo poi scoprire che si tratta di un vincolo. In tutti questi casi, la cura dell’istruttoria — per chi licenzia e per chi subisce il licenziamento — è la migliore assicurazione contro esiti incerti.
Uno sguardo d’insieme
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è il punto di equilibrio tra flessibilità dell’impresa e stabilità dell’occupazione. Funziona quando le scelte sono trasparenti, necessarie e proporzionate; fallisce quando diventa un contenitore per esuberanze selettive o quando si ignora la continuità che l’ordinamento cerca di preservare, specie nel cambio d’appalto. L’obiettivo comune, per lavoratori e datori, non è vincere una causa, ma gestire bene il cambiamento: i primi, salvaguardando dignità e diritti; i secondi, perseguendo efficienza e sostenibilità senza esporre l’azienda a rischi evitabili.
Il giustificato motivo oggettivo richiede fatti: una soppressione reale, un nesso causale credibile, un repêchage documentato e una motivazione chiara. Nel cambio d’appalto, le clausole sociali e il trasferimento di ramo sono snodi che possono assorbire il personale e rendere il recesso inutile o anticipato. Le conseguenze economiche seguono le regole di preavviso e competenze finali; la NASpI spetta se vi sono i requisiti. Un approccio super partes, fondato su coerenza, trasparenza e prova dei fatti, è la via più sicura per evitare contenziosi e governare il cambiamento.

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