Patto di non concorrenza: uno strumento per aziende e lavoratori
- Lorenzo Berselli
- 4 days ago
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In un mercato del lavoro sempre più competitivo e dinamico, proteggere il patrimonio aziendale costituito da informazioni riservate, competenze tecniche e contatti commerciali è fondamentale. Uno degli strumenti più efficaci per tutelare tali risorse dopo la cessazione di un rapporto di lavoro è il patto di non concorrenza.
Tuttavia, vista la delicatezza e la complessità della materia, è importante che questo accordo venga stipulato con attenzione e consapevolezza, trovando un giusto equilibrio tra gli interessi del datore di lavoro e i diritti del lavoratore.
Che cos'è il patto di non concorrenza?
Il patto di non concorrenza è un accordo scritto, stipulato ai sensi dell’articolo 2125 del Codice Civile, con il quale il lavoratore si impegna a non esercitare attività concorrenti rispetto a quella svolta presso il precedente datore di lavoro per un determinato periodo successivo alla fine del rapporto stesso.
Questo patto rappresenta una continuazione degli obblighi di fedeltà già previsti dall’articolo 2105 del Codice Civile durante lo svolgimento del rapporto lavorativo, estendendoli oltre il suo termine.
I requisiti essenziali per la validità del patto
Affinché il patto di non concorrenza sia giuridicamente valido e non impugnabile, è necessario rispettare precisi requisiti previsti dalla legge:
Forma scritta: il patto deve essere stipulato per iscritto, pena la nullità.
Oggetto determinato: occorre specificare chiaramente quali attività il lavoratore non potrà svolgere al termine del rapporto.
Durata predefinita: la durata massima deve essere limitata. La giurisprudenza considera congrui 2-3 anni per dipendenti e fino a 5 anni per figure dirigenziali.
Ambito territoriale delimitato: è necessario indicare chiaramente l’area geografica coperta dal divieto, evitando estensioni sproporzionate.
Corrispettivo congruo: il patto deve prevedere un compenso economico equo e proporzionato al vincolo imposto al lavoratore.
Come valutare il corrispettivo del patto?
La definizione del corrispettivo è uno dei punti più delicati del patto di non concorrenza. Una buona prassi per determinarlo correttamente è utilizzare come base di calcolo la Retribuzione Annua Lorda (RAL) del lavoratore, considerando diversi fattori quali:
Livello professionale e retributivo;
Durata e ambito territoriale del patto;
Importanza strategica delle informazioni aziendali da tutelare.
Di norma, un corrispettivo equo oscilla tra il 15% e il 40% della RAL annua per ciascun anno di durata.
Esempio pratico:
Se un lavoratore percepisce una RAL annua di €50.000 e firma un patto di non concorrenza di due anni con divieto su attività specifiche in un determinato territorio regionale, un corrispettivo congruo potrebbe essere:
RAL annua: €50.000
Durata del patto: 2 anni
Percentuale corrispettivo: 25% annuo della RAL
Corrispettivo totale: €50.000 x 25% x 2 anni = €25.000 complessivi
L’importo potrebbe essere corrisposto in un'unica soluzione alla cessazione del rapporto o rateizzato mensilmente durante la durata del contratto.
Opportunità e vantaggi per l’impresa
Per le imprese, soprattutto in settori tecnologici, innovativi o con forte competizione commerciale, il patto di non concorrenza è uno strumento indispensabile per proteggere il proprio patrimonio di competenze e informazioni strategiche. Tuttavia, è necessario prestare particolare attenzione nella sua formulazione: un accordo impreciso o sproporzionato potrebbe essere facilmente contestato e perdere efficacia.
Il punto di vista del lavoratore: diritti e limitazioni
Per il lavoratore, il patto rappresenta una limitazione futura alla propria libertà professionale, ma può diventare anche un’opportunità economica interessante. È fondamentale che il lavoratore valuti attentamente i termini proposti, la congruità del corrispettivo e le implicazioni professionali future prima di sottoscrivere l’accordo.
La validità del patto in caso di cessazione del rapporto
Un tema cruciale riguarda l’efficacia del patto nel momento in cui termina il rapporto lavorativo. Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 21247 del 19 ottobre 2016), il patto di non concorrenza rimane valido anche in caso di risoluzione consensuale, dimissioni o licenziamento, salvo diversa disposizione prevista dalle parti. Questo avviene perché il patto è considerato autonomo rispetto al contratto di lavoro, e pertanto la sua validità non è influenzata dalle modalità di cessazione del rapporto.
La violazione del patto: conseguenze e sentenze della Cassazione
In caso di violazione del patto di non concorrenza, il lavoratore è generalmente tenuto al risarcimento del danno causato all’ex datore. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito ulteriormente questo principio. In particolare, la sentenza n. 9790 del 26 maggio 2020 afferma che il lavoratore che violi il patto deve risarcire integralmente il danno provocato al datore, a meno che non sia stata concordata una clausola penale ex art. 1382 c.c., che determina anticipatamente l’ammontare del risarcimento.
Inoltre, la Corte precisa che l’onere della prova riguardo alla violazione del patto grava sull’azienda, che deve dimostrare chiaramente l’attività concorrenziale posta in essere dal lavoratore.
Il patto di non concorrenza rappresenta un importante strumento di tutela per le imprese e una potenziale opportunità economica per il lavoratore. Tuttavia, data la sua delicatezza, è cruciale redigerlo con precisione, rispettando scrupolosamente i requisiti normativi e valutando attentamente ogni dettaglio contrattuale.
Una corretta formulazione del patto evita future controversie e assicura efficacia e trasparenza, garantendo il giusto equilibrio tra gli interessi delle imprese e la libertà professionale del lavoratore.

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